Innanzitutto la resistenza. Ma anche la funzionalità, l’igiene e l’estetica. Sono tanti i fattori che incidono nella scelta di un buon piano di lavoro per la cucina. E tutti devono essere tenuti nella dovuta considerazione. Perché se la cucina è il cuore della casa, il top ne sta proprio al centro. Qui si fa il nutrimento di tutta la famiglia.
Prezioso supporto a tutte le attività di preparazione dei cibi, il piano di lavoro è il punto più esposto a usura quotidiana. Oltre che durevole deve essere anche igienico. Si deve poter pulire bene e velocemente.
Nella scelta di un top, due sono gli aspetti preliminari da prendere in esame. Il primo è pur sempre estetico: l’armonizzazione con il resto degli arredi. Il secondo è funzionale. La superficie deve risultare compatta per scongiurare accumuli di sporco e batteri. Idrorepellente, per evitare infiltrazioni d’acqua. Resistente agli urti, alle abrasioni e al calore.


Top cucina in acciaio, ceramica e agglomerati


L’acciaio è il materiale preferito per un top. Soprattutto nelle cucine professionali, ma anche in quelle domestiche. Inattaccabile dai batteri, risulta inalterabile nel tempo. La finitura liscia e non porosa ostacola l’adesione e la sopravvivenza di batteri. Per contro, il materiale è molto suscettibile ai graffi e alle ammaccature ed è inoltre molto costoso. Oltre che più economiche, le miscele di ceramica sono più personali. Più adattabili ai diversi gusti in fatto di varianti di colore. Ottenute con processi a elevata tecnologia, sono molto resistenti agli urti, antimacchia e spesso sono antibatterici.


Il gres porcellanato per esempio risulta inalterabile al calore e inattaccabile dagli acidi e dai solventi. E’ anche estremamente compatto e perciò impermeabile all’acqua e allo sporco. Si ottiene da impasti di materie prime selezionate (argille, sabbie quarzifere e feldspatiche) e pigmenti a base di ossidi metallici. Il materiale può essere facilmente tagliato, sagomato e forato. Invisibili eventuali giunture.


Innovativi e d’avanguardia i ricomposti o agglomerati. Definiti in linguaggio tecnico engineered stones o pietre tecniche, riproducono i materiali di cava tradizionali. Ma non presentano quelle fragilità che ne sconsigliano l’uso in ambienti sottoposti allo stress del calore e dei frequenti urti. Queste formulazioni sono spesso brevettate, perché speciali sono le lavorazioni. Si parte da polveri di marmo, quarzo o granito, che vengono “legate” tra loro tramite speciali resine. All’impasto possono anche aggiungersi pigmenti o polimeri a proprietà antibatteriche. La massa ottenuta è inserita quindi in una cassaforma e poi compattata sottovuoto. Dopo un periodo di invecchiamento, viene lavorata come se fosse una lastra in pietra. E come la pietra sarà destinata a durare.

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